Il Millwall e il suo mondo si staccano da tutto il resto: se non fosse così, non sarebbe stato addirittura compiuto uno studio a livello accademico da un professore universitario della University of East London, Garry Robson, che ha scritto: "No one likes us, we don't care. The myth and reality of Millwall fandom". Il che vuol dire che il fenomeno è realmente degno di studio o che, forse, Mr Robson ha troppo tempo libero e tifa troppo per i Lions per dedicarsi a studi più significativi per il progresso dell'umanità. Nello studio, condotto con estrema profondità e con termini certamente poco accessibili anche al lettore medio-basso di lingua inglese - si tratta dopotutto di un testo universitario - viene analizzato e sminuzzato nelle sue componenti l'intero significato dell'essere Millwall ed essere South London, ma il South London che odora di porto, depositi di gomme, officine auto, gabbiotti dei minicabs, sfasciacarrozze, un proletariato intensamente carnale e reale che adora ancora il pugilato ed è lontanissimo dalla rappresentazione ormai comune del tifoso medio di Premiership, tutto compìto, con le tasche profonde, la parrucca in testa, magari due strisce colorate dipinte sul viso e la bella maglietta stirata dalla moglie. Lo zoccolo duro del Millwall è fatto di gente che come in tutte le culture del proletariato urbano ha il disprezzo e l'avversione più profonde verso tali manifestazioni, viste come effemminate, deboli: qui siamo ancora ai riti di iniziazione, al doversi mostrare sempre con il volto più virile, al rivestirsi di abiti "duri" per poter far parte del gruppo [...]
(Roberto Gotta, Le reti di Wembley, 2003)
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